«PSG da sogno, ma la Federazione dia una chance anche al Frassineto»

Maurizio Calamita, allenatore della nostra prima squadra, riconosce ai rivali i meriti di una stagione esaltante: «Chissà come sarebbe andata a finire… Pino Torinese è un’oasi di calcio felice, non vedo l’ora di ricominciare a farmi chilometri e chilometri ogni giorno per venire ad allenare i nostri ragazzi! Con Guidoni si cresce di anno in anno. E presidenti come Maida non ce ne sono tanti in circolazione»

Maurizio Calamita, 54 anni

Maurizio Calamita, allenatore della prima squadra PSG: il campionato si è fermato sul più bello, con il primo posto in classifica. C’è più rammarico o soddisfazione?

«C’è un po’ di tutto, ma è stata una stagione bellissima soprattutto per l’intesa che si era creata con la squadra».

Che cosa accadrà? Il PSG potrebbe essere ripescato in Prima categoria?

«Staremo a vedere, ci saranno valutazioni da fare. Noi saremo pronti in ogni caso. Ma se ci fosse per noi questa possibilità, sarebbe giusto che la Federazione la estendesse anche al Pastorfrigor che con una partita in meno di noi, sarebbe teoricamente a un punto di distanza. Non sappiamo come sarebbe andata a finire la stagione se il campionato fosse andato avanti fino al termine. Noi avremmo dovuto giocare la gara di ritorno in casa loro. Tutto sarebbe potuto succedere e quindi anche la squadra di Frassineto meriterebbe una chance».

Nessuna sconfitta in stagione: segno di una struttura solidissima. Ci racconta qualcosa dell’intesa raggiunta con la sua squadra?

«Mi ritengo fortunato. Da allenatore, fin da quando ho cominciato, non ho mai avuto problemi con i ragazzi. Dal Torino al Bra, ho avuto sempre squadre che mi hanno seguito e con cui ho stabilito un rapporto di fiducia, basato sulla lealtà. L’allenatore deve fare alcune scelte ma può sbagliare, così come sbagliano i giocatori. L’importante è fondare tutto sulla fiducia reciproca. In questo caso è stato ancora più semplice, perché in una squadra composta da tanti allenatori, era facile condividere il progetto».

Tra l’altro molti giocatori-allenatori hanno portato al campo i bimbi delle loro squadre a fare il tifo…

«Un altro aspetto bellissimo, anche se probabilmente sarà un po’ da rivedere. Non è facile per molti coniugare il calendario con gli impegni da allenatore. Comunque è un gruppo eccezionale, con due-tre ragazzi di categoria superiore, anzi di categorie superiori come Rubin, Rosa o Grieco per dirne solo alcuni. E poi con i giovani della Juniores che sono diventati protagonisti ad esempio come Maida oppure che lo saranno come De Seta».

Il PSG ha portato avanti, anche in Seconda categoria, la politica di un comportamento etico. Come hanno reagito gli avversari, per esempio, al terzo tempo?

«Direi benissimo. Non era scontato, non c’è molta abitudine nel calcio per certi riconoscimenti agli avversari specie dopo una sconfitta. In qualche caso gli avversari sono rimasti stupiti, ma alla lunga tutti hanno mostrato di apprezzare e ci hanno fatto i complimenti. È accaduto anche all’ultima partita, che abbiamo vinto 4-0 il 23 febbraio ad Asti e dove abbiamo aspettato i nostri avversari a fine gara per salutarli lealmente. come sempre. Il pubblico ci ha applaudito».

Sono passati più di due mesi. Come si vive senza calcio dopo averne fatto una ragione di vita?

«Ho recuperato un po’ più di spazio per la famiglia, ma per il resto noi del PSG siamo rimasti noi in attività. Ci sentiamo tra noi tecnici regolarmente, parliamo molto con i ragazzi. Con Stefano Guidoni c’è uno scambio di idee molto intenso. Un confronto costante per non perdere, nei limiti del possibile, l’abitudine. Devo dire che è qualcosa di impegnativo, ma utilissimo. Manca solo il campo… per ora almeno».

Un vero peccato avere interrotto una stagione così bella. Dica la verità, le era mai successo di avere un gruppo così affiatato?

«Ad essere sincero no, a Pino stavamo costruendo qualcosa di molto importante. Del resto ogni anno è stata una crescita continua. Sono qui da cinque anni, all’inizio mi chiedevano dove ero finito, neanche sapevano che Pino Torinese avesse una squadra di calcio. Ora invece ci conoscono e ci apprezzano tutti. Merito del lavoro svolto. Il riconoscimento federale della Scuola Calcio d’Élite, non è certo casuale. Lo si ottiene solo in base a parametri ben precisi, ci vuole qualità».

Lei però ha vissuto realtà importanti nell’ambiente del calcio sia da giocatore e sia da allenatore. Come spiega la scelta di allenare al PSG?

«Perché è un ambiente speciale, dove ogni dettaglio è curato alla perfezione. E dove ogni anno si cerca di fare un passo in avanti. È una richiesta precisa che assieme a Guidoni facciamo sempre al presidente. Ogni anno deve esserci almeno una competenza in più nell’organizzazione delle diverse attività. E ogni anno riusciamo a crescere. Ovviamente dobbiamo riconoscere tutti i meriti di Massimo Maida, non credo ci siano tanti presidenti del suo livello in questo calcio. Competente e discreto: quando ho fatto debuttare suo figlio in squadra, nella Juniores e in prima squadra, non solo non ha mai fatto alcuna pressione per farlo giocare, anzi: mi ha sempre detto: ma sei sicuro?».

Se il club cresce e se mette in evidenza tanti talenti, crescono anche le attenzioni di altre squadre. Il campionato è fermo, siamo già in pieno mercato… Mister, ha forse avuto qualche proposta per altre panchine?

«In effetti qualcuna, sì. Ma non ci penso proprio di lasciare il PSG. Vi dico solo che avrei avuto addirittura la possibilità di allenare a pochi passi da casa mia, avrei potuto andare al campo senza neanche prendere l’auto. Invece preferisco continuare a farmi settanta chilometri al giorno per venire a Pino Torinese. Riprenderò a farlo quando potremo ricominciare. Come prima: dal primo pomeriggio alle 11 di sera, tutti i giorni. Perché il PSG è un mondo a parte, è un’oasi meravigliosa».