La passione per i portieri: intervista a Gianni Quarà e Luca Salvalaggio

I portieri sono gli eroi solitari. Quelli che non possono sbagliare. Là, abbandonati al proprio destino, sotto gli occhi dello stadio.” (Marco Ansaldo)

Questa citazione, presa in prestito dal giornalista Marco Ansaldo, racchiude in sé l’essenza di chi ha l’onere e l’onore di ricoprire il ruolo del portiere. In casa PSG lo sanno bene chi questo ruolo lo gioca, lo ha giocato e ora lo insegna, o meglio, lo allena. Stiamo parlando di Gianni Quarà, preparatore dei portieri della prima squadra e della Juniores, e di Luca Salvalaggio, portiere della prima squadra e preparatore dei portieri del settore giovanile assieme a Enzo Cardin.

Ma cosa significa essere un portiere? E come è strutturata la preparazione atletica di chi trascorre i novanta i minuti tra i pali, in attesa di essere celebrato o crocifisso?

Il ruolo del portiere in campo e fuori dal campo

«È un ruolo che ti trasmette grandi emozioni e belle sensazioni, ma anche tante responsabilità» rivela Luca Salvalaggio.

«Per quel che mi riguarda, il portiere dev’essere una squadra dentro la squadra. È sua la visione di gioco durante la partita, è suo il compito di guidare i compagni di fronte ai pericoli, soprattutto quelli del reparto difensivo, e allo stesso tempo ha il dovere di farsi trovare pronto a intervenire per evitare il gol.»

«Quello del portiere è un ruolo solitario», aggiunge Gianni Quarà, che nei panni del portiere ci ha costruito una carriera. Ora, conclusa l’esperienza da preparatore al Villastellone Carignano, è al primo anno al PSG. Il portiere è da solo durante gli allenamenti, è da solo tra i pali ed è da solo anche nei colori che indossa. È una guida e un suggeritore per i compagni, ma è lasciato solo nelle sue decisioni. Ma è comunque il ruolo più bello del mondo.»

«Inoltre, essendo appunto un ruolo che si compie in disparte, la sinergia che si crea tra un portiere e i propri allenatori è fondamentale. Bisogna credere nei ragazzi, dare loro fiducia e stargli accanto» conclude Luca Salvalaggio.

La preparazione atletica dei portieri tra dedizione e tecnica

«Essere un portiere è soprattutto una questione di carattere e passione», prosegue Quarà. «Le doti tecniche e le capacità si possono sempre affinare e migliorare, ma senza la passione per il ruolo non si fa strada. Se fare il portiere non lo senti dentro, allora non puoi farlo. Perché è la passione che ti aiuta ad andare avanti e ad affrontare i momenti no, specie perché nel calcio si tende a colpevolizzare il portiere più degli altri giocatori.

Paradossalmente, il portiere più bravo non è quello che para meglio. Ma quello che subisce meno occasioni, perché significa che ha avuto la giusta autorevolezza nel guidare i suoi compagni. Se invece subisce dieci gol, allora significa che a livello di squadra qualcosa non ha funzionato.»

Completamente d’accordo anche il numero uno della prima squadra. «Assieme a Enzo Cardin ci occupiamo della preparazione atletica dei portieri del settore giovanile e la passione per il ruolo è la prima cosa che cerchiamo di trasmettere ai bambini.

Sono pochi i ragazzi che vogliono fare il portiere e spesso vengono messi tra i pali per caso. E’ a quel punto che noi li aiutiamo a capire quanto bello sia il loro ruolo. Dal momento che iniziano ad amare il fatto di essere il portiere, allora avranno anche la spinta a crescere e a migliorare.»

La preparazione atletica di un portiere si differenzia soprattutto in base alle fasce di età e si concentra su più livelli. «Dai Pulcini fino ai tredici anni circa, la preparazione è basata molto sul gioco, sul divertirsi e sulla passione. Poco importano i risultati in campo, l’importante è stare assieme e apprendere l’abc del calcio», spiega Salvalaggio.

«A seguire, invece, si passa a una parte più analitica. Ai ragazzi in età adolescenziale si insegna la giusta esecuzione dei gesti tecnici, ovvero i movimenti da fare e da non fare, come posizionare il corpo in base alle situazioni di gioco che ti trovi davanti e così via.»

«Dal momento che il portiere è più “adulto” e formato, ovvero sa cosa fare e come farlo, e ha la giusta dedizione, allora ci si concentra sull’allenamento fisico e sulle rifiniture – conclude Gianni Quarà. In prima squadra la preparazione è incentrata sullo sviluppo della forza fisica. Si fanno esercizi con pesi o con carichi, si allenano la velocità e i riflessi e si ricrea ciò che potrebbe accadere in partita, dalle punizioni ai cross, ai rigori, alle uscite alte e così via.»

Nella fotografia: da sinistra, Gianni Quarà e Luca Salvalaggio