«Vi racconto come è nato il progetto PSG»
Il direttore tecnico Guidoni racconta: «Ho lasciato alle spalle la Juventus, ho messo al centro dell’attenzione i giovani abbinando la pedagogia alla tecnica. Il calcio non è solo a tirare calci a un pallone. Seguiamo un percorso più faticoso e complicato, ma i risultati stanno già arrivando»
Stefano Guidoni, direttore tecnico: mettersi alle spalle il passato da bomber e quello da tecnico alla Juventus per accettare la sfida del Psg Calcio. Come è andata?
«Diciamo la verità, non è stata una scelta. Non mi sono più trovato dentro a quel calcio per una serie di motivi. E fuori da quel contesto ho visto subito come funzionava: bisognava adeguarsi a situazioni che non condividevo. E allora mi sono detto che sarebbe stato meglio voltare pagina, andare incontro anche a un ridimensionamento pur di trovare una dimensione più umana. Che poi è quella che preferisco».
È stato difficile?
«Non è così scontato come possa sembrare. Vediamo ogni giorno che tutti si lamentano perché le cose non vanno come si vorrebbe, ma poi nessuno sceglie la via del cambiamento. Sono contento di averlo fatto. A me interessa un calcio dove l’individuo sia maggiormente al centro dell’attenzione. E il nostro lavoro al Psg, anche se complicato, ci restituisce tanto».
Quando è nata la convinzione di poter seguire al Psg un percorso fatto di regole, etica e rispetto degli avversari?
«L’idea l’avevo già quando sono arrivato a Pino, poi c’è stato l’ingresso di Massimo Maida come presidente un anno fa e abbiamo capito che la nostra sintonia su questi temi era totale. Ci conoscevamo, lui prima era un genitore come altri che portava al campo i figli. Si è appassionato, ci siamo confrontati ed è stato naturale sviluppare i discorsi fatti in precedenza per cominciare a tradurli in realtà».
Ci parli del suo lavoro al Psg.
«È un’attività non scontata che richiede energie e fatica, ma è anche l’unico modo per dare un senso a tutto. Qui non siamo nel calcio professionistico e dobbiamo lavorare maggiormente sulla ricerca della qualità e su tanti dettagli. Non abbiamo tanto margine su cui incidere ed è questa la sfida di ogni giorno. Dico spesso che non puoi portare un asino all’ippodromo, ma puoi comunque insegnargli a correre. E magari a farlo bene. Nel calcio in generale non c’è tanta disponibilità a cambiare. Difficile proporre nuovi progetti, spesso mancano anche le strutture per farlo al meglio. Pino rappresenta un’eccezione».
Che cosa le ha lasciato l’esperienza alla Juve come tecnico?
«La Juve mi ha insegnato ad essere un allenatore. Mi sono trovato lì con ottimi professori e in più in quel periodo della mia vita avevo tempo per approfondire e studiare gli argomenti. Ora che purtroppo per vari impegni non ho più quella possibilità, ho trovato la dimensione giusta al Psg pur dovendomi arrangiare a fare tanto con poco. Ma spesso è così che si scoprono orizzonti inesplorati».
I risultati stanno già arrivando: gli allenatori del Psg insegnano in tutte le squadre il bel gioco. E i complimenti degli avversari sono una garanzia.
«La gente alla fine sa distinguere e riconosce i meriti. Il calcio non è solo tirare calci a un pallone. C’è una parte importante che riguarda la formazione e per avere successo soprattutto nel settore giovanile serve grande attenzione agli aspetti pedagogici oltre che tecnici. Ad esempio bisogna tenere viva la voglia di giocare dei ragazzi. Così come la voglia di apprendere. E fare i conti con la pressione che spesso arriva dall’esterno, con la richiesta continua di vincere. Bisogna affrontare e superare la fatica per raggiungere gli obiettivi e nella società di oggi in realtà i nostri ragazzi non sono sempre predisposti ad affrontare questo ostacolo. E non solo nello sport».
Ha un importante incarico da formatore per la Figc, ci spiega in cosa consiste?
«Tengo corsi per allenatori di base, tecnici del settore giovanile. Si tratta di un’esperienza fantastica. La relazione che si crea umanamente con questi “studenti” è davvero preziosa. Il rammarico è non sapere che cosa resti a loro in termini di nozioni tecniche ma non solo, in ogni caso ogni lezione mi porta motivi di riflessione che servono anche a me per cambiare e migliorare. Un po’ come quando alleno i bambini della scuola calcio, oppure gli adolescenti. Cerco di trasmettere valori e loro in cambio trasmettono a me insegnamenti unici».
LUCA BORIONI