Uno su 10 mila ce la fa: la lezione del maestro Favini
Un anno fa, il 23 aprile, ci lasciava il più grande scopritore di talenti del calcio italiano e inventore del vivaio dell’Atalanta. Xavier Jacobelli, direttore di Tuttosport, disegna il suo profilo per PSG e racconta il miracolo nerazzurro
di Xavier Jacobelli direttore di Tuttosport
Giovedì 23 aprile sarà già passato un anno.
Un anno dalla scomparsa di Mino Favini, il più grande scopritore di talenti del calcio italiano, l’uomo che ha scoperto decine e decine di giocatori poi assurti alla massima dimensione professionistica, il demiurgo del settore giovanile atalantino.
Se andate a Zingonia, al centro sportivo Achille e Cesare Bortolotti che, investendovi 60 milioni in meno di dieci anni, la gestione Percassi ha trasformato in uno fra i più moderni e avanzati, visitate l’Accademia Favini. È la nuova ala interamente dedicata al vivaio. Salite al primo piano, aprite una grande porta finestra e sbucate sulla Terrazza Favini. È da lì che Mino osservava i suoi ragazzi sul campo.
Io, Mino l’ho conosciuto bene. Prima di essere un maestro di calcio, è stato un maestro di vita. Un giorno mi ha detto: «La conosci la canzone di Morandi che dice uno su mille ce la fa? Ecco. Quando parliamo di aspiranti calciatori, dobbiamo dire che uno su diecimila riesce ad arrivare in Serie A. Se va bene. E non è solo questione di tecnica, di fisico, di classe. Quella, se non ce l’hai non te la puoi dare. Prima di tutto, è una questione di testa. Per questo, chi entra nel vivaio dell’Atalanta sa che, se non studia, non gioca. Se non si applica a scuola, non gioca. Se non impara l’educazione, il rispetto, il fair play, non gioca».
Maurizio Costanzi, l’uomo che nel 2014 portò la Primavera del Chievo allo storico scudetto di categoria, ha raccolto degnamente l’eredità di Favini. Costanzi custodisce le chiavi dell’Eldorado bergamasco, guida una struttura che, fra tecnici, dirigenti, osservatori, medici, psicologi, insegnanti, coinvolge 130 persone.
Al tempo della globalizzazione, Antonio e Luca Percassi incarnano il modello vincente che va controtendenza. Padre e figlio sono cresciuti a Zingonia: il primo è diventato titolare della prima squadra e, per due volte ha acquistato la società, caso più unico che raro nella storia della Serie A; il secondo, oggi amministratore delegato, è uno dei manager più brillanti del massimo campionato.
L’attaccamento alla maglia, lo spirito d’identità, i Percassi ce l’hanno nel Dna. I risultati si vedono.