Il valore del gioco: educare a vincere e a perdere
Pubblichiamo uno studio della nostra dirigente e psicologa su un tema già affrontato nel corso delle serate a tema. In attesa di tornare in campo tutti insieme
di Barbara Giacobbe psicologa e psicoterapeuta
Come adulti condividiamo la responsabilità sociale ed il “carico” di educare (da ex-ducere: condurre fuori portandone il peso) le nuove generazioni e di affiancare i nostri ragazzi indicando loro la strada e fungendo da esempio. Il nostro ruolo comporta di esserci nei momenti di gioia ed anche in quelli difficili mostrando che le emozioni vanno vissute tutte, nelle loro varie sfaccettature, sia quelle positive che quelle spiacevoli come la rabbia, la paura e la tristezza.
Chi fa sport e chi vive intensamente la vita, sa che le sconfitte e le frustrazioni sono pane quotidiano e che le vittorie “da film” sono rare. Si vince, ma soprattutto con sé stessi impegnandosi e faticando lungo i percorsi che ci siamo scelti o che la vita ci prospetta. Le vittorie in nostro potere sono rappresentate dal raggiungimento o avvicinamento agli obiettivi che ci si è posti come individuo e/o come gruppo. Crescendo, per essere felici, impariamo a porci mete per noi raggiungibili ed in linea con i nostri progetti di vita.
La frustrazione fa parte della vita così come la gioia e l’assenza di dolore è una chimera che se esistesse renderebbe la vita piatta e monocromatica. Appare quindi necessario per tutti noi convivere con le piccole e grandi sconfitte ed insegnare ai ragazzi come costruire senso e valore a partire dalle emozioni piacevoli, ma anche da quelle spiacevoli.
Sembra che per i ragazzi di oggi, “principi” e spesso “despoti” delle nostre famiglie, risulti particolarmente difficile fronteggiare le sconfitte. Poco avvezzi alle frustrazioni, i nostri bambini, rischiano di non fare esperienza di come “sopravvivere” ed andare oltre al dolore rafforzando con questo il proprio sé.
A scuola, nello sport e più in generale in società tendono a debuttare ragazzi con un Sé piuttosto delicato e fragile che rischiano di vivere le frustrazioni come pericolosi attacchi alla propria identità. L’insaziabile “bisogno di ammirazione” (Charmet, 2019) che caratterizza le nuove generazioni viene messo a dura prova quando ci si confronta su un campo di calcio o semplicemente sul piano di realtà.
Alla sola idea di una possibile sconfitta la temibile vergogna si affaccia come spauracchio per chi tende a nutrirsi dei like facilmente ottenibili nel calore protettivo delle proprie camerette.
I nostri ragazzi, intimoriti dal confronto, sono portati a scegliere per sé attività semplici e poco sfidanti, preferiscono utilizzare piuttosto che creare o rischiare. È necessario che noi adulti li accompagniamo ad accettare le sfide sapendo che possono essere vinte, ma anche perse ed in ogni caso potranno servire per conoscere sé stessi ed il mondo, per migliorarsi e per orientare le scelte future.
Fortunati quei ragazzi e quelle famiglie che incontrano società sportive fondate su solidi principi etici e che sono in grado di far appassionare grandi e piccoli per il maggior numero possibile di anni sostenendo e stimolando così i ragazzi lungo il loro cammino di crescita.
Negli anni dobbiamo accompagnare i nostri figli a passare da una motivazione puramente ludica nei confronti dell’attività sportiva (prima infanzia 0/5 anni), ad una in cui il gioco si fa serio (seconda infanzia 6/10 anni) a quella in cui l’agonismo ed il confronto rappresentano utili supporti all’identità in sviluppo (prima adolescenza 11/16), fino ad essere al loro fianco (a debita distanza) quando lo sport farà parte di essi (speriamo!) e potranno viverlo e integrarlo nella propria persona con le contraddizioni che lo caratterizzano.
Insieme alla motivazione dei nostri figli è buono però che monitoriamo anche la nostra. Quando i ragazzi sono piccoli siamo felici che giochino e che si divertano e sogniamo per essi tutto il meglio. Pian piano che crescono cominciamo, più o meno consapevolmente, a pretendere di più e desideriamo che alcune delle belle aspettative che avevamo si realizzino.
A volte, senza saperlo, proiettiamo sui ragazzi desideri o frustrazioni che hanno a che fare con la nostra infanzia o nella fattispecie con la nostra esperienza sportiva. A volte non siamo realistici nel cogliere i loro limiti e le loro potenzialità e rischiamo di spingere o di mollare pur se non dovremmo. Quando poi arriva l’adolescenza ed il rapporto con i ragazzi diventa meno gratificante perché essi si oppongono, si allontanano e tendono a dare il peggio, noi adulti siamo portati a distanziarci forse perché delusi per le personali aspettative non realizzate. È qui però che rischiamo di sbagliare, innanzitutto perché i ragazzi continuano ad avere intenso bisogno della nostra “cauta” presenza e poi perché trattasi di una fase passeggera. Molte delle tappe agognate che ora i ragazzi sembrano non poter e/o non voler considerare verranno probabilmente raggiunte appena conclusa la “tempesta”.
Tutti e a qualsiasi età non amiamo le sconfitte. I nostri figli, in maniera diversa a seconda della fase evolutiva, hanno bisogno di sostegno nei momenti difficili che la vita sportiva comporta.
Le sconfitte posso presentarsi sotto varie forme: perdere una partita, perderne tante, straperderne, straperderle, sentirsi meno bravi degli altri, essere meno bravi degli altri, giocare poco nelle partite, non giocare, giocare male, ecc. In tutti questi casi può essere importante sostenere i ragazzi e ancora di più i bambini nel differenziare la persona dal suo fare. Occorre ricordar spesso loro che la prestazione può essere scarsa deludente o frustrante, ma ciò non intacca e non deve intaccare il valore della persona in quanto tale. L’impegno e la perseveranza sono gli atteggiamenti che fanno la differenza.
Di fronte alle sconfitte dei nostri ragazzi è opportuno tenere un atteggiamento che possiamo riassumere in 5 principali messaggi:
- Tu vali come persona al di là delle tue prestazioni/azioni. Ammiro il tuo impegno e ti stimo indipendentemente dai risultati che ottieni.
- Tutte le emozioni sono ok anche la tristezza, la rabbia, la paura. Ti aiuto a non enfatizzare le emozioni e ad agire in maniera corretta anche se sei arrabbiato/a, triste o impaurito/a in modo da non danneggiare o mancare di rispetto a te stesso/a, agli altri o all’ambiente.
- (Per gli allenatori ed i tecnici) Ti aiuto, nel rispetto dei confini del mio ruolo, ad individuare in cosa la tua prestazione o il tuo agire non ha funzionato.
- (Per gli allenatori ed i tecnici) Ti sostengo nell’individuare cosa puoi concretamente cambiare o migliorare nel tuo agire e/o nella tua prestazione in modo che tu possa fare meglio ed essere più soddisfatto/a.
- Ti aiuto a non perdere mai la dimensione di gioco e di divertimento nell’attività sportiva e lo faccio attraverso l’esempio del mio comportamento e delle mie parole durante, prima e dopo le tue partite e i tuoi allenamenti.
Per fortuna nella carriera sportiva dei nostri figli esistono anche le vittorie e le piacevolezze. I fattori che rendono desiderabile e gratificante l’attività sportiva sono svariati: il divertimento e il gioco, le vittorie, i miglioramenti nelle proprie prestazioni, i riconoscimenti di allenatori, compagni e genitori, la dimensione di squadra, il senso di appartenenza, l’amicizia, la bellezza dell’attività motoria in sé, lo “status sociale” di atleta, ecc.
I messaggi da inviare ai ragazzi di fronte alle vittorie posso essere sintetizzati come segue:
- Tu vali come persona al di là delle tue prestazioni/azioni.
- L’altro/a vale quanto te al di là del risultato ottenuto e delle prestazioni di cui è o è stato/a capace.
- Sei bravo/a e capace in quello che fai e ammiro il tuo impegno ed il risultato che hai ottenuto.
- È ok gioire per la vittoria.
- Puoi godere della vittoria e delle tue capacità dimostrandolo con il comportamento, ma sempre nel rispetto dell’altro e dei suoi stati d’animo. Scegli i momenti, i luoghi e i modi più adeguati per esultare e per festeggiare la tua vittoria.
- Essere stati o essere più bravi nelle proprie prestazioni sportive e/o capacità non vuol dire essere meglio degli altri o poter avere la supremazia su di essi.
Per concludere vorrei ricordare a noi adulti che lo sport rappresenta un bene estremamente prezioso dall’enorme potere educativo e dalla straordinaria efficacia nella prevenzione del disagio dei ragazzi ed è nostro dovere preservarne la bellezza e l’eleganza attraverso i comportamenti, gli atteggiamenti e le parole che esibiamo.
Ricordando Bobbio (1983) voglio inneggiare alla mitezza dentro e fuori dalle manifestazioni sportive. Per mitezza non si intende arrendevolezza, vittimismo o passività, ma tolleranza e capacità di accettare noi stessi e gli altri per quello che siamo, senza aggredire o sentirsi aggrediti ed usando l’agonismo in senso sano e costruttivo. Possiamo insegnare ai nostri ragazzi a giocare con energia e determinazione ed insieme con generosità ed empatia per tutelare uno sport sano ed elegante che sia una gioia per chi lo pratica e per chi vi assiste!