Adulti più etici per ragazzi più sereni in campo: gli incontri
Il progetto di Psg Calcio per offrire un supporto psicologico agli educatori (genitori, dirigenti o allenatori) prosegue con una serie di appuntamenti curata dalla nostra psicologa e psicoterapeuta Barbara Giacobbe
Il progetto di Psg Calcio per affiancare l’opera di genitori, dirigenti e allenatori con il sostegno professionale di Barbara Giacobbe, psicologa e psicoterapeuta, va avanti.
Nei giorni scorsi la sede del Psg a Pino Torinese ha ospitato una prima serata sul tema delle relazioni tra genitori e ragazzi (ma anche tra allenatori o dirigenti e ragazzi) nell’ambito dell’attività sportiva, più precisamente nel calcio. La dottoressa Giacobbe riassume in questo video il programma generale e il criterio che caratterizza l’iniziativa.
La risposta è stata positiva: tanti genitori presenti, tanta curiosità e voglia di mettersi in gioco per approfondire un tema di grande attualità. Perché nel corso degli anni i rapporti tra genitori e figli sono cambiati radicalmente specie sul terreno dello sport. Ecco di seguito un breve estratto della serata.
Di seguito pubblichiamo il contributo scritto da Barbara Giacobbe sul numero di giugno 2019 del nostro Psg Magazine, intitolato “Adulti etici in panchina e sugli spalti”. Buona lettura:
La relazione educativa rappresenta un’ottima opportunità per agire sul mondo ed anche per cambiarlo. Tale compito è estremamente delicato e va preso con serietà e responsabilità.
Oggi, nella moltitudine di stimoli esterni e nella fluidità estrema dei confini, i ragazzi sono particolarmente in difficoltà nel definire la propria identità. Siamo figli di una società che, dal punto di vista educativo, ha avuto il coraggio di mettere in discussione i vecchi valori basati sull’autoritarismo e sull’obbedienza e ci troviamo per questo spesso privi di punti di riferimento.
Le nuove generazioni necessitano di adulti che professino i loro valori ed hanno bisogno di incontrare sul proprio cammino persone che pensino e si comportino in maniera etica. Muoversi in maniera etica significa applicare nella propria vita la morale in cui crediamo cioè i principi e le regole basate
sui nostri valori di riferimento fungendo da modello per i nostri ragazzi. Ciò è fondamentale per fornire una direzione alle nuove generazioni e per allontanarle dal “basso” e dal “volgare” che riduce e svaluta qualsiasi cosa, persona o comunicazione.
L’agire dell’adulto nell’ambito delle attività sportive può essere un’ottima occasione per mostrare ai ragazzi una direzione. Come adulti condividiamo la responsabilità sociale di educare i nostri ragazzi ed il dovere di scegliere per loro e con loro percorsi ed attività in cui noi stessi crediamo e che intendiamo supportare. Quello sportivo può rappresentare uno dei contesti educativi più adeguati alla crescita ed all’apprendimento di regole sociali di convivenza. Lo sport inoltre agisce in favore del benessere e della prevenzione del disagio fornendo modelli educativi complementari ed alternativi alla famiglia.
I genitori di oggi desiderano come prima cosa che i propri figli siano felici. Ciò comporta che ragazzi e famiglie presentino una certa intolleranza alle frustrazioni.
I fallimenti, pur se piccoli, difficilmente paiono contemplabili nella filosofia del piacere immediato, continuo e senza sforzo prospettato da mass media e nuove tecnologie. La felicità oggi tende ad essere considerata come qualcosa di materiale, un dono, anzi il dono massimo che genitori e figli si devono scambiare a vicenda. I ragazzi rischiano di portare su di se il peso e la responsabilità di non essere felici e soddisfatti nonostante tutto ciò che le famiglie “fanno per loro”. L’essere felici risulta un dovere piuttosto che un sentimento spontaneo e naturale. Il fallire, sbagliare o semplicemente incontrare delle difficoltà nell’ambito dell’attività sportiva risulta a volte intollerabile.
Forse possiamo insegnare ai nostri ragazzi che la felicità è da intendere come ne parlava Aristotele e quindi non un’assenza di dolore, ma uno stile di vita. La caratteristica di tale atteggiamento è quella di allenare e potenziare le migliori qualità che ogni essere umano possiede in modo da essere in grado di far fronte alle difficoltà. Essere felici comporta inoltre la capacità di tollerare le frustrazioni e di convivere con le ambivalenze emotive che ci contraddistinguono. Gioia non vuol dire assenza di rabbia o di frustrazione. Un ragazzino può essere felice di giocare la sua partita pur tollerando la tristezza che comporta l’averla persa o l’aver ricevuto delle osservazioni negative dal proprio mister. Un bambino può imparare a gioire della vittoria dei propri compagni quando lui è dovuto stare seduto in panchina. Un genitore può essere felice di veder giocare il proprio figlio accettando che le cose non vadano proprio come vorrebbe lui/lei (strategie di gioco, atteggiamenti e scelte dei mister…) La fatica della perseveranza e l’impegno per perseguire obiettivi posso essere fonte di soddisfazione e felicità.
Dobbiamo essere in grado di insegnare ai ragazzi a vedere la felicità come un bene da conquistare, parafrasando Nietzsche, come una sorta di forza vitale che lotta contro qualunque ostacolo limiti la libertà e l’affermazione di sé. In quest’ottica essere felici significa avere la capacità di esercitare forza vitale attraverso il superamento delle avversità e la creazione di modelli di vita originali. Tale operazione, però, va fatta nel rispetto di se stessi e degli altri seguendo regole e norme di comportamento che vanno passate ai ragazzi attraverso l’esempio e lo sport può rappresentare un ottimo modello. Dal lavoro di questi anni insieme a famiglie, educatori ed allenatori sportivi ho individuato cinque regole di comportamento in grado di rispondere ai bisogni dei ragazzi ed indirizzare la relazione verso il desiderato bene della felicità.
In cima all’elenco troviamo la Presenza, ovvero l’esserci nella relazione, il tenere e mantenere il legame. E’ necessario che l’adulto mantenga la propria posizione ed il proprio ruolo anche quando le circostanze lo indurrebbero a desistere o quando il ragazzo pare che voglia il contrario. Si tratta di una presenza flessibile e plastica, che assume forme e modalità diverse a seconda della situazione e dei reciproci bisogni. Secondo elemento, strettamente connesso al primo, è la Responsabilità. Nel tenere la propria posizione, l’adulto si fa carico della fetta maggiore di responsabilità e riconosce la potenza dell’impatto delle proprie azioni, parole ed atteggiamenti. Il farsi carico di responsabilità comporta l’essere in grado di riconoscere i propri errori, facendone fonte di apprendimento ed adoperandosi per riparare. Terza norma irrinunciabile è il Rispetto di se stessi, il prendersi cura della propria persona nel corpo e nella psiche.
Ciò implica un’attenzione alla personale felicità ed ai propri bisogni nella relazione ed al di fuori di essa. Nel rispetto di se’ rientra anche il coltivare la propria area di gioco e di divertimento mantenendo vive ed allenando la curiosità e la vivacità del corpo e della mente. Al contempo, è opportuno che l’adulto si prenda cura delle personali paure e fragilità facendone, quando possibile, motivo di apprendimento e di crescita personale.
Quarto elemento del pentagono è il Rispetto dell’altro e dell’ambiente. Ciò implica l’attenzione all’altro da se’, la capacità di stare in contatto con se stessi e col proprio figlio senza perdere la connessione con il qui ed ora ed il contesto di vita. E’ importante che l’adulto non si chiuda all’interno della relazione educativa dimenticando il bene comune ed il proprio impegno sociale. Il rischio è quello di rimanere narcisisticamente immersi nel riflesso della propria immagine, nutrendosi esclusivamente delle personali gioie col rischio di annegare nei privati dolori. Assai utile, in quest’ottica, appare il confronto con le altre famiglie e la rete di mutuo aiuto che ciascun genitore deve contribuire a tessere e a mantenere.
Quinto ingrediente fondamentale è la Bellezza, elemento cui tendere in ogni momento. La via che conduce all’agognata felicità può essere quella di guardare all’incontro con l’altro come ad un’opera d’arte da rendere il più possibile godibile ed apprezzabile. Ciò implica il rifuggire dalle brutture relazionali quali violenza e volgarità del corpo e della psiche e comporta anche un costante monitoraggio di stessi e del nostro agire allo scopo di conservare e, quando è il caso, restaurare la nostra opera d’arte.