«Io, genitore-dirigente, qui ho scoperto un altro calcio»
Il fascino delle partite per me è sempre stato come il canto delle sirene: irresistibile. Ma in panchina al fianco dei tecnici ho capito di avere tanto da imparare. Pensando a Camus
di Riccardo Marchina (giornalista, scrittore, dirigente Psg e papà di Edoardo)
Ho sempre subito il fascino del calcio. Fin da piccolo, è stato come il canto delle sirene, la voglia matta di scendere in campo o assistere a una partita, in gradinata, e non poterlo fare. I miei genitori hanno risposto ad altre sirene, quelle della montagna e così, nei fine settimana, non c’era spazio per la partita, ma per la gara di sci. Io le correvo pensando all’odore dell’erba del campo in primavera, misto a quello dei fumogeni degli ultras.
Ho cercato lo stesso di fare del mio meglio per partecipare a questa festa: una volta era la schedina del totocalcio, un’altra il biglietto nei distinti centrali di chi c’era stato e me lo regalava; un’altra ancora la possibilità di vedere la Domenica Sportiva fino a tardi. Una volta, i suoi servizi dagli stadi erano i migliori, con le riprese dal basso che davano l’impressione di essere in campo.
Quando mio figlio (un 2008) ha scelto questo sport, credevo di sapere tutto: regole, tattiche e segreti. Presto, mi sono reso conto di non sapere nulla. Sedere in panchina da dirigente “in religioso silenzio”, accanto ai mister, mi ha fatto capire che occorre una grande preparazione per plasmare un gruppo capace di andare oltre del semplice correre dietro a una palla. Per arrivare a tirare in porta o per non rimanere scoperti dietro ci vuole metodo, ragionamento da campione di scacchi, coesione e soprattutto lealtà.
Lo scrittore Albert Camus sosteneva di avere imparato dal calcio tutto quel che sapeva sulla morale umana. I letterati lo ignorano e tutti gli altri ignorano lui, ma Camus fu portiere del Racing Universitaire di Algeri negli anni Trenta. Beh, per arrivare a pensarla così, ritengo abbia avuto mister simili ai nostri del PSG: dei veri signori, pazienti, mai negativi, ma sempre pronti a ragionare sugli errori e a capire quali siano i possibili spazi di miglioramento.
In pochi anni, ho assistito a tante partite giocate dal gruppo dove milita mio figlio. Si è vinto poco e si è perso molto, ma a livello di gioco non c’è mai stato confronto. Spesso vince chi butta la palla avanti e corre. Chi macina gioco, tesse trame, alla fine sbaglia, ma è bello anche per questo. Camus diceva del suo Racing di Algeri: «Perdevamo partite che scientificamente avremmo dovuto vincere».
A me piace l’idea di un PSG che ha qualcosa in comune con quella squadra, resa leggendaria da un grande scrittore.